Assegno divorzile: conta il contributo alla vita familiare
Il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.
Corte di Cassazione, Sez. Un., 11/07/2018, n. 18287
La fattispecie
Il Tribunale di Reggio Emilia pronunciava con sentenza parziale la cessazione degli effetti civili del matrimonio per poi porre a carico dell’ex marito, con sentenza definitiva, la somma di Euro 4.000,00 mensili, a titolo di assegno divorzile in favore della ex moglie. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza impugnata, negava il diritto della ex moglie al riconoscimento di un assegno di divorzio condannandola alla ripetizione delle somme ricevute a tale titolo specifico, sulla base dell’orientamento espresso nella pronuncia di questa Corte n. 11504 del 2017, secondo il quale il fondamento dell’attribuzione dell’assegno divorzile è la mancanza di autosufficienza economica dell’avente diritto. Avverso tale pronuncia, C.L. proponeva ricorso per cassazione, con richiesta, accolta con provvedimento del 30 ottobre 2017, di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite.
La Suprema Corte
In caso di domanda di assegno da parte dell’ex coniuge economicamente debole, il parametro sulla base del quale deve essere fondato l’accertamento del diritto ha natura composita, dovendo l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata, degli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, in quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà, posto a base del giudizio relativistico e comparativo di adeguatezza. Pertanto, “esclusa la separazione e la graduazione nel rilievo e nella valutazione dei criteri attributivi e determinativi, l’adeguatezza assume un contenuto prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi né a quello strettamente assistenziale né a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico-patrimoniali delle parti. Solo così viene in luce, in particolare, il valore assiologico, ampiamente sottolineato dalla dottrina, del principio di pari dignità che è alla base del principio solidaristico anche in relazione agli illustrati principi CEDU, dovendo procedersi all’effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future”. La natura e l’entità del sopraindicato contributo è frutto delle decisioni comuni, adottate in sede di costruzione della comunità familiare, riguardanti i ruoli endofamiliari in relazione all’assolvimento dei doveri indicati nell’art. 143 c.c.; tali decisioni costituiscono l’espressione tipica dell’autodeterminazione e dell’autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda, ex artt. 2 e 29 Cost., la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio.
Alla luce delle considerazioni svolte, il Collegio ha ritenuto che deve essere individuato “un criterio integrato che si fondi sulla concretezza e molteplicità dei modelli familiari attuali”. Se si assume come punto di partenza il profilo assistenziale, valorizzando l’elemento testuale dell’adeguatezza dei mezzi e della capacità (incapacità) di procurarseli, “questo criterio deve essere calato nel “contesto sociale” del richiedente, un contesto composito formato da condizioni strettamente individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori nel nucleo familiare”. Lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare. Il profilo assistenziale deve, pertanto, essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale s’inserisce la fase di vita post matrimoniale, in particolare in chiave perequativa-compensativa. Il criterio attributivo e quello determinativo, dunqu, non sono più in netta separazione ma si coniugano nel cd. criterio assistenziale-compensativo.
Conclusione
Pertanto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto il ricorso degno di accoglimento, in quanto la sentenza impugnata si è fondata esclusivamente sul criterio dell’autosufficienza economica, escludendo dalla propria indagine l’accertamento dell’eventuale incidenza degli indicatori concorrenti contenuti nella L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, ed in particolare quello relativo al contributo fornito dalla richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla conseguente formazione del patrimonio comune e personale dell’altro ex coniuge. Alla cassazione della sentenza impugnata è conseguito il rinvio alla Corte d’Appello di Bologna che dovrà attenersi al principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite con tale pronuncia, dalla quale si evince che la funzione equilibratrice dell’assegno non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale.