Gioco sodomitico: se muore il partner è reato di omicidio preterintenzionale
Deve ritenersi configurabile il reato di omicidio preterintenzionale nella condotta di chi, attraverso un gioco erotico di sodomizzazione, non già diretto a provocare piacere sessuale, bensì posto in essere per infliggere un dolore o una punizione, al di fuori di un rapporto consensuale, provoca la morte della vittima come conseguenza della volontà di manomettere l’altrui persona in modo violento.
Corte di Cassazione, Sez. V, 23/04/2018, n. 18048
La fattispecie
La Corte d’Assise d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Livorno, riduceva la pena inflitta all’imputata S.B. ad anni sei di reclusione, ritenuta l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, revocando anche la concessione della provvisionale a tutte le parti civili costituite e riducendo la condanna alle spese per la loro costituzione; confermava nel resto la sentenza di primo grado, volta ad affermare la responsabilità dell’imputata per i reati di cui all’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, art. 609-septies c.p., comma 4, n. 4 e art. 584 c.p. per aver costretto il marito G.G., in condizioni di grave alterazione per abuso di sostanze alcoliche, a subire atti sessuali violenti (consistiti nello strizzamento violento dei genitali e nella penetrazione anale mediante un porta-rotoli da cucina in marmo), provocandogli lesioni dalle quali derivava la sua morte.
Avverso la sentenza d’appello, l’imputata proponeva ricorso per cassazione.
La Suprema Corte
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini del delitto di omicidio preterintenzionale, l’elemento psicologico consiste non nel dolo e responsabilità oggettiva o dolo misto a colpa, ma nell’aver voluto (anche solo a livello di tentativo) l’evento minore (percosse o lesioni) e non anche l’evento più grave, quale quello della morte, che costituisce solo la conseguenza diretta della condotta dell’agente. Nel caso di specie, la Corte d’Assise d’Appello esclude che la sodomizzazione fosse avvenuta nell’ambito di un rapporto consensuale, trattandosi di un contesto non già di azioni rivolte alla ricerca del piacere sessuale, seppur estremo e con modalità violente, bensì di una rivendicazione e ritorsione della S. nei confronti della vittima, cui vengono rimproverati i tradimenti recenti e la ricerca di rapporti con donne diverse. La sodomizzazione, pertanto, costituisce l’epilogo di un litigio o, meglio, di un rimprovero livoroso che la ricorrente rivolge al marito, il quale, ubriaco ed incapace di autodeterminarsi, subisce la violenza estrema senza rendersi conto effettivamente di quanto ella gli stesse facendo e senza la possibilità effettiva di opporsi.
Tutti gli elementi di fatto analizzati dai giudici d’appello, quindi, convergono nel senso della prova della volontà dell’imputata di provocare dolore e fare del male al marito, coerentemente alla giurisprudenza di legittimità relativa alla configurabilità del reato di percosse, che ricomprende ogni violenta manomissione dell’altrui persona, così come previsto per la configurabilità dell’omicidio preterintenzionale.
Relativamente alla continuità del nesso causale tra l’azione posta in essere dalla ricorrente e la morte della vittima, che sarebbe, invece, derivata dal rifiuto di questi di recarsi immediatamente in ospedale per sottoporsi alle cure necessarie, le quali, con buone probabilità, lo avrebbero salvato, costituisce opzione condivisibile quella secondo cui, nell’omicidio preterintenzionale, l’omesso rispetto da parte della vittima delle cure e delle terapie prescritte dai sanitari non elide il nesso di causalità tra la condotta di percosse o di lesioni personali posta in essere dall’agente e l’evento morte, non integrando detta omissione un fatto imprevedibile od uno sviluppo assolutamente atipico della serie causale.
Risulta evidente, infatti, per quanto bene emerge dalla motivazione impugnata, che, venendo a mancare la condotta dell’imputata, non si sarebbe mai avuta alcuna esigenza di cura e, pertanto, nessun rilievo ha, ai fini della configurabilità del reato, la condotta omissiva della vittima, ritenuta plausibilmente ininfluente rispetto alle conseguenze mortali derivanti dall’azione delittuosa che, in ogni caso, si sarebbero prodotte.
Conclusione
La Corte di Cassazione, dunque, ha rigettato il ricorso, stabilendo che “deve ritenersi configurabile il reato di omicidio preterintenzionale nella condotta di chi, attraverso un gioco erotico di sodomizzazione, non già diretto a provocare piacere sessuale, bensì posto in essere per infliggere un dolore o una punizione, al di fuori di un rapporto consensuale, provoca la morte della vittima come conseguenza della volontà di manomettere l’altrui persona in modo violento”. La Corte ha, inoltre, aggiunto che, nel caso di specie, “nessuna eliminazione del nesso di causalità può conseguire dalla condotta di iniziale rifiuto di sottoporsi a ricovero e cure da parte della vittima”.