Stalking: non rileva l’atteggiamento conciliante della vittima
Per la configurabilità del delitto di atti persecutori, che ha natura abituale, deve essere accertato l’effetto della complessiva e reiterata condotta persecutoria del soggetto agente sulla psiche e lo stile di vita della vittima, in seguito al disagio progressivamente accumulato nel tempo, senza che rilevi l’eventuale atteggiamento conciliante della persona offesa.
Corte di Cassazione, Sez. V, 14/06/2018, n. 27466
La fattispecie
La Corte d’Appello di Trieste confermava la sentenza di primo grado nei confronti dell’imputata T., che l’aveva condannata alla pena di giustizia, per il delitto di cui all’art. 612 bis c.p. e per il delitto di danneggiamento aggravato ex art. 635 in relazione all’art. 625 c.p., n. 7.
L’imputata proponeva ricorso per cassazione, lamentando, tra i vari motivi, che la sentenza non avrebbe tenuto conto dell’atteggiamento conciliante della presunta vittima, che aveva sempre risposto alla telefonate ritenute moleste, intrattenendosi a parlare con l’imputata e non aveva cambiato numero di telefono, dimostrando in tal modo di non aver subito alcun turbamento psicologico dai comportamenti di T. Inoltre, In data 23.04.2018, la difesa depositava motivi nuovi, rappresentando l’intervenuta remissione di querela in epoca successiva alla pronunzia di secondo grado.
La Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha rilevato che la remissione ed accettazione della querela per entrambi i delitti di cui l’imputata deve rispondere non hanno efficacia, poiché il reato di danneggiamento è stato contestato nella forma aggravata ex art. 635 in relazione all’art. 625 c.p., n. 7, avendo riguardato automobili parcheggiate sulla pubblica strada ed esposte, quindi, alla pubblica fede; tale figura criminosa è al di fuori della depenalizzazione ex D.Lgs. n. 7 del 2016 ed è perseguibile d’ufficio. Inoltre, il delitto di danneggiamento aggravato nel caso in esame è connesso al delitto ex art. 612 bis c.p., in quanto compiuto in esecuzione di un medesimo disegno criminoso dalla stessa imputata e, dunque, tale connessione ha reso procedibile d’ufficio anche il delitto di atti persecutori, ex art. 612 bis c.p., comma 4.
In merito al ragionamento probatorio condotto dai Giudici triestini, la Cassazione ha aderito a quanto stabilito dalla la Corte territoriale, che ha giustificato la conferma della responsabilità dell’imputata richiamando proprio la testimonianza della persona offesa. Quest’ultima, infatti, riferiva che, di fronte alla reiterata petulanza di T. e conoscendo la sua fragilità psicologica, spesso non sapeva come comportarsi, e per questo aveva tenuto un atteggiamento a volte conciliante, altre volte non aveva risposto al telefono, in alcune occasioni aveva assunto un tono brusco; il teste aveva anche chiarito che non aveva potuto cambiare numero di telefono per motivi di lavoro, avendo moltissimi clienti che conoscevano quel recapito telefonico.
Conclusione
La Corte di Cassazione, pertanto, ha dichiarato il ricorso inammissibile, poiché, come correttamente affermato dai Giudici del merito, non rileva il comportamento talvolta accondiscendente mantenuto dalla persona offesa, in considerazione della complessiva e reiterata condotta persecutoria e degli accertati risultati di essa che si erano verificati sulla psiche e sugli stili di vita delle parti civili, a seguito del progressivo disagio da loro accumulato nel tempo, giudicando integrato, in tal modo, il delitto in esame, che ha natura abituale.