Violenza privata: è reato ostruire volontariamente la strada per impedire ad altri la manovra
La condotta di chi ostruisce volontariamente la sede stradale per impedire ad altri di manovrare nella stessa realizza l’elemento materiale del reato di violenza privata.
Corte di Cassazione, Sez. V, 05/02/2018, n. 5358
La fattispecie
C.L. veniva condannato dal Tribunale di Camerino, con sentenza confermata in appello, per violenza privata e minaccia in danno di D.E. Secondo i giudici di merito l’imputato, venuto a diverbio con D. per motivi attinenti alla circolazione stradale, impediva a quest’ultimo di riprendere la marcia, lasciando che il proprio veicolo ostruisse la strada per un apprezzabile lasso di tempo, minacciandolo, inoltre, di un male ingiusto.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona, C.L. proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una mancanza di motivazione in ordine agli elementi (oggettivo e soggettivo) della violenza privata, l’attribuzione di una valenza delittuosa ad un’espressione innocua, pronunciata senza intenzionalità minatoria, e una mancanza di motivazione in ordine alla richiesta applicazione dell’art. 131 bis c.p.
La Suprema Corte
Come sostenuto dalla Corte di Cassazione, ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione. Pertanto, “anche la condotta di chi ostruisca volontariamente la sede stradale per impedire ad altri di manovrare nella stessa realizza l’elemento materiale del reato in questione”, proprio come nel caso di specie, posto che C. impediva a D. di riprendere la marcia, dopo l’alterco avuto con lui, e che ciò avveniva per un apprezzabile lasso di tempo (sette-otto minuti, secondo il teste N). Sotto il profilo soggettivo, ai fini della configurazione del suddetto reato, è sufficiente la coscienza e volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare (dolo generico). “Ne consegue che il fatto stesso di impedire ad altri automobilisti di transitare sulla strada pubblica, o di riprendere la marcia, come nel caso di specie, integra l’elemento soggettivo del reato in questione”.
Relativamente alla minaccia, la Suprema Corte ha affermato che le parole pronunciate dall’imputato all’indirizzo di D. avevano valenza minatoria, posto che contenevano la rappresentazione di un male, la cui verificazione dipendeva dalla volontà dell’agente, e che venivano dette con coscienza, volontà e consapevolezza di turbare l’altrui tranquillità, senza che avessero rilievo le motivazioni dell’agire.
Sulla richiesta di proscioglimento ex art. 131 bis c.p., invece, la Corte d’appello ometteva ogni pronuncia al riguardo. La Cassazione, dunque, ha affermato che tale omissione è idonea a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, posto che la motivazione risulta completamente omessa su un punto specifico di doglianza, che meritava un approfondimento ex professo. Infatti, non è condivisibile la tesi secondo cui la continuazione nel reato (violenza privata e minaccia) esclude l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. Tale tesi, sebbene trovi sponda nella giurisprudenza di questa Corte, “non può essere seguita nella sua assolutezza, perché il reato continuato addebitato a C. è, nella specie, sostanzialmente unico, essendo composto di fattispecie poste in essere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della medesima persona, sicché è rivelatore di una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, incompatibile con l’abitualità presa in considerazione in negativo dall’art. 131 bis c.p.”.
Conclusione
La Corte di Cassazione, pertanto, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla omessa statuizione sulla richiesta di applicazione dell’art. 131 bis c.p., con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Perugia, rigettando, nel resto, il ricorso.