Falso ideologico per il praticante avvocato che dichiari falsamente all’Ordine di non avere carichi pendenti
Nel caso di dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell’art. 46 d.P.R. n. 445/2000, che ha la funzione di autocertificare la verità di stati e qualità personali del dichiarante, nel caso in cui sia presente il richiamo alle sanzioni penali previste per le ipotesi di falsità, ove le dichiarazioni ivi inserite siano inveritiere, si configura il reato di cui all’art. 483 c.p.
Corte di Cassazione, Sez. V, 16/05/2018, n. 21683
La fattispecie
Il Tribunale di Potenza in composizione monocratica, condannava M.S. a pena di giustizia per il reato di cui all’art. 483 c.p., perché, con dichiarazione sostitutiva resa ai sensi e per gli effetti degli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000 (volto ad individuare le categorie di certificato e di dichiarazione sostitutiva di certificazione), nel corso della domanda di iscrizione nel registro dei praticanti avvocati, avanzata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza, attestava falsamente di non avere carichi pendenti, circostanza risultata contraria al vero atteso che, da accertamenti eseguiti dal medesimo Consiglio dell’Ordine, all’epoca della resa dichiarazione a suo carico risultavano essere pendenti due procedimenti penali, entrambi in carico alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza.
La Corte d’Appello di Potenza confermava la sentenza emessa dal Tribunale, motivo per cui M.S. decideva di ricorrere per Cassazione, contestando il valore di dichiarazione sostitutiva attribuito a quella resa dal COA, non avendo il giudice a quo verificato se vi fosse stata o meno sottoscrizione alla presenza di un dipendente e rilevando la mancanza di un richiamo alle sanzioni penali nel modulo predisposto dal COA in caso di dichiarazioni mendaci.
La Suprema Corte
Secondo gli Ermellini, il modulo sottoscritto dal ricorrente contiene la espressa dicitura circa la consapevolezza, da parte del sottoscrittore, che l’accertamento della non veridicità delle dichiarazioni rese lo avrebbe esposto alla responsabilità penale, con revoca dell’ammissione, se conseguita, da parte del Consiglio dell’Ordine. Pertanto, risulta evidente l’obbligo giuridico del dichiarante a dire il vero, condizione in presenza della quale può sussistere il reato di cui all’art. 483 c.p.
Inoltre, l’orientamento di questa Corte sul punto è che, in tema di dichiarazione resa ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 46, si configura il delitto di falso ideologico commesso dal privato, qualora la dichiarazione sostitutiva di atto notorio sia falsa.
A seguito di quanto sopra, ne deriva che la dichiarazione resa ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 46, non richiede, ai fini della validità della sottoscrizione, alcuna autentica di firma, in quanto, a differenza da quanto disposto dall’art. 47 dello stesso D.P.R., non contiene alcun richiamo all’art. 38 e, quindi, alle modalità di sottoscrizione in presenza del dipendente addetto ovvero mediante presentazione, unitamente alla sottoscrizione, di un documento di identità del sottoscrittore. Senza alcun dubbio, inoltre, l’autocertificazione resa ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 46, riveste la funzione di provare i fatti attestati, evitando al privato l’onere di provarli con la produzione di certificati (nella specie certificato del casellario giudiziale); in tal modo essa collega l’efficacia probatoria dell’atto al dovere del dichiarante di dichiarare il vero.
In tal senso, infatti, occorre ricordare l’orientamento di questa Corte che, sin dalla sentenza delle Sez. Un., n. 28 del 15/12/1999, ha affermato il principio secondo il quale “il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) è configurabile solo nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero”.
Dunque, l’art. 483 c.p., richiede, per la definizione del suo contenuto precettivo, il collegamento con una diversa norma – eventualmente di carattere extrapenale – che conferisca attitudine probatoria all’atto in cui confluisce la dichiarazione inveritiera, così dando luogo all’obbligo per il dichiarante di attenersi alla verità. In questo caso la norma de qua si individua nell’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000 e nel successivo art. 48 dello stesso D.P.R.
Conclusione
La Corte di Cassazione, pertanto, ha rigettato il ricorso sulla base del fatto che, stante l’incontestata natura di enti pubblici non economici degli Ordini e dei Collegi nazionali professionali, inclusi tra le pubbliche amministrazioni, giusta la previsione dell’art. 1, comma 2, D. Lgs. n. 29 del 1993, poi trasfuso nel D. Lgs. n. 165 del 2001, e stante l’espresso richiamo alle sanzioni penali in caso di dichiarazioni mendaci, contenuto nel modulo predisposto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza, la condotta del ricorrente integra senza alcun dubbio la fattispecie penale di cui all’art. 483 c.p.