Il titolare paga per l’omicidio commesso dall’apprendista minorenne
Il precettore o il maestro d’arte, per liberarsi dalla presunzione di colpa posta a proprio carico dall’art. 2048 c.c., ha l’onere di provare che né lui, né alcun altro precettore diligente, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., avrebbe potuto, nelle medesime circostanze, evitare il danno.
Corte di Cassazione, Sez. VI, 04/06/2018, n. 14216
La fattispecie
Il minore V.V., veniva ucciso dal giovane D.A. per futili motivi in seguito ad una lite scoppiata all’interno dell’esercizio commerciale di Ma.Vi., esercente l’attività di barbiere, dove l’omicida era apprendista. I genitori della vittima convenivano in giudizio D.G. e M.A. in proprio e quali genitori dell’autore materiale del crimine, affinché rispondessero loro dei danni per culpa in educando, e il titolare dell’attività commerciale, per culpa in vigilando.
Il Tribunale adìto accoglieva la domanda, condannando i genitori dell’aggressore, ma rigettava quella spiegata nei confronti dell’artigiano. Successivamente, la Corte d’Appello dichiarava inammissibile l’impugnazione proposta, dunque la sentenza di primo grado veniva impugnata per Cassazione.
La Suprema Corte
Secondo i Giudici di Piazza Cavour, il Tribunale, stabilendo che il titolare del negozio, seppur assente al momento dell’omicidio, non versasse in culpa in vigilando in quanto “arrivato solo dieci minuti dopo i fatti”, è incorso in una falsa applicazione dell’art. 2048 c.c., non applicando la presunzione prevista ad una fattispecie concreta che imponeva l’applicazione della suddetta norma. In particolare, ai sensi dell’art. 2048 c.c., terzo comma, nel caso di fatto illecito commesso dall’apprendista, spetta al precettore o al maestro d’arte, dimostrare “di non aver potuto impedire il fatto”, ovverosia l’imprevedibilità o l’inevitabilità del fatto produttivo di danno, costituenti l’essenza della colpa.
Nello specifico, la Cassazione ha rilevato che il principale criterio di valutazione della colpa professionale, ovverosia quella del precettore o maestro d’arte nella fattispecie in esame, è quello della diligenza, dettato dall’art. 1176, comma 2, c.c., consistente nel comparare la condotta effettivamente tenuta dal preteso responsabile con quella che avrebbe tenuto, al suo posto, il maestro d’arte diligente.
Per l’imprenditore o l’artigiano che assume un apprendista, il dovere di esser presente, oltre che dal generale precetto di cui all’art. 1176 c.c., era desumibile dall’art. 11, comma 1, lett. (a), legge n. 25/1995, oggi abrogata, ma vigente all’epoca dei fatti, fissante l’obbligo del datore di lavoro di “impartire o di far impartire nella sua impresa all’apprendista alle sue dipendenze l’insegnamento necessario perché possa conseguire la capacità per diventare lavoratore qualificato”. Tale norma implica necessariamente un dovere di vigilanza, in quanto l’insegnamento da essa richiesto non poteva avvenire in sua assenza.
Conclusione
Pertanto, la Cassazione, rilevando che, nel caso in esame, il “precettore medio” di cui all’art. 1176, comma 2, c.c., non avrebbe mai lasciato solo un apprendista minorenne, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte d’Appello, in applicazione del seguente principio di diritto: “il precettore od il maestro d’arte, per liberarsi dalla presunzione di colpa posta a suo carico dall’art. 2048 c.c., ha l’onere di provare che né lui, né alcun altro precettore diligente, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., avrebbe potuto, nelle medesime circostanze, evitare il danno”.